Stephen King: a quanto il Nobel?
di Pietro Ascione

"La maniera migliore per capire il grado di provincialismo culturale e mentalità da circoletto di una libreria indipendente è vedere come vengono esposti i romanzi di King. Se sono nascosti come una roba necessaria ma di cui vergognarsi, non dategli i vostri soldi. Se, invece, non ce l'hanno proprio, decollate e nuclearizzate». Forse solo un fumettista come Roberto Recchioni, il curatore di Dylan Dog, poteva esprimere un giudizio così definitivo e appropriato. E come dargli torto. Anche per me, chiariamolo subito, Stephen King è letteratura: 63 romanzi,12 raccolte di racconti, 500 milioni di copie vendute e un numero di riduzioni televisive paragonabile solo a quelle legate alle opere di Doyle, Christie e Shakespeare. Soprattutto, una modifica radicale nell'immaginario collettivo. Basta molto meno per entrare nella storia della letteratura. Eppure.
Eppure c'è chi ancora guarda di sottecchi la letteratura del maestro dell'horror etichettandola come "provinciale". Numerosa quasi quanto la schiera dei fan, quella dei critici conta su nomi importanti della "letteratura alta". Soprattutto, di fatto, sui membri dell'Accademia Svedese delle Belle Arti, che ogni anno decreta il vincitore del Premio Nobel della letteratura. Ciò può essere un enorme lancio per autori poco conosciuti o una consacrazione finale per i già considerati grandi autori.
Va ammesso che i membri dell'Accademia più di una volta ci ha hanno stupito con delle scelte imprevedibili, seppur corrette (come dimenticare Dario Fo, accusato di "non fare reale letteratura"?!) Sembra invece che per loro King sia quasi materiale di scarto. Neppure finisce nei loro radar. L'industria letteraria", così come è stato ribattezzato lo scrittore di Portland, a riprova anche del fatto che non sbaglia un colpo, non interessa. E stiamo parlando di l'incredibile mente prolifica di King, che gli è però valsa l'epiteto di "industria letteraria". D'altra parte pare che soffi una certa aria di snobismo da parte dell'Accademia e a farne le spese sono autori che operano nei campi della fantasia e dell'horror. Basti pensare a giganti del Novecento come Tolkien (candidato due volte), Wells (candidato sei volte) e Philip K. Dick (candidato nessuna volta, ma meritevole di almeno due premi). Ecco, King rappresenta l'occasione per rimediare. I motivi che rendono il Maestro dell'Horror meritevole della massima onorificenza del campo letterario sono due. Il primo motivo è puramente stilistico: King ha dettato scuola. La sua prosa, secca e precisa, permette vivide descrizioni della realtà e un'analisi approfondita della psiche umana. Il secondo motivo va ricercato nella originaria motivazione che sta dietro all'assegnazione del premio. Nel testamento di Alfred Nobel vi si legge: "Una parte ancora a chi, nell'ambito della letteratura, abbia prodotto il lavoro di tendenza idealistica più notevole e innovativa". Tendenza idealistica, ossia la tendenza a osservare fenomeni reali e caratteristici della psiche umana in modo innovativo. Chi più di King è stato capace di farlo negli ultimi quarant'anni? Con romanzi come Shining, Carrie, It e Stand By Me l'autore ha non prodotto romanzi di formazione e profonde analisi introspettive, ma ha anche modificato l'immaginario collettivo come nessun altro. Potrei persino immaginarmi una possibile motivazione dell'Accademia: "Per la sua capacità di analisi introspettiva e per l'innovazione apportata all'immaginario collettivo".
Qualche anno fa, king scrisse un'arringa per difendere la scelta dell'Accademia, molto criticata, che quell'anno cadde sul cantante e poeta Bob Dylan. Questa era la conclusione: "La maggior parte dei personaggi della musica pop», scrive King, «sono come falene che svolazzano intorno a una lampada per gli insetti; gli volteggiano intorno per un po', poi c'è un lampo intenso e loro sono andati. Ma non Dylan». Ecco, per lui si potrà dire, credo, la stessa cosa: la maggior parte degli autori sono come falene che svolazzano intorno a una lampada per gli insetti; gli volteggiano intorno per un po', poi c'è un lampo intenso e loro sono andati. Ma non King.