Il risveglio di Joe Biden

05.03.2020

di Donatello D'Andrea

Mentre in Europa si continua a parlare di coronavirus e delle sue conseguenze socio-economiche che hanno portato il governo a predisporre la chiusura delle scuole e dei locali di pubblico svago, sono ben altri gli eventi che dall'altra parte dell'oceano Atlantico tengono impegnata l'opinione pubblica. Negli USA, ad esempio, ci sono le primarie democratiche e repubblicane, con le prime più importanti delle seconde a causa della caratura politica degli sfidanti.

Dal vecchio senatore socialista e indipendente Bernie Sanders all'ex vicepresidente di Obama Joe Biden, passando per il miliardario ex sindaco di New York Michael Bloomberg. Senza dimenticare politici di valore come Pete Buttigerg, ex sindaco di South Bend, ed Elizabeth Warren. Nomi altisonanti, alcuni dei quali hanno già rinunciato a causa del crudo destino che il consenso riserva ai suoi inseguitori.

Inoltre, questo martedì non è stato un giorno come tutti gli altri. C'è stato il Super Tuesday, il pazzo martedì americano che potrebbe decidere in un solo colpo tutta la campagna elettorale delle primarie americane. Si è votato in 14 stati, i quali hanno messo a disposizione 1344 delegati sui 1991 necessari per la nomination a candidato Presidente. Se volessimo riassumere l'importanza di questa tornata in poche righe, basterebbe mostrare questi numeri.

Come è andato? Dal titolo, si evince l'esistenza di un unico vincitore, il quale molto probabilmente potrebbe essere il futuro sfidante di Donald Trump, che alle primarie repubblicane non sta incontrando nessuna difficoltà a causa dell'assenza di uno sfidante di livello e della volontà di alcuni stati di non proporre nessun candidato e appoggiare il Presidente uscente.

Il vincitore di questo super martedì è stato Joe Biden. Dato per spacciato alla vigilia delle primarie in South Carolina, l'ex vicepresidente è riuscito ad elaborare una strategia vincente che non solo gli ha dato la possibilità di scavare un solco di trenta punti percentuali con il suo sfidante, Sanders, ma anche di disimpegnarsi ottimamente nel Super Tuesday, raccogliendo più delegati.

Dopo questi risultati inaspettati, la domanda sorge spontanea: "Che valore politico ha la vittoria di Biden? Il suo risveglio avrà delle ricadute politiche sulle possibilità democratiche di battere Trump?"

Le conseguenze politiche della "rinascita"

Joe Biden c'è. Chiamato "Sleepy Joe" da Trump, il quale ha assegnato un nomignolo ad ogni candidato democratico (fa parte del suo personaggio) nemmeno una settimana fa annaspava dietro al suo rivale principale. Poi è arrivata la South Carolina e si è svegliato. I risultati si vedono; dopo lo stato dove la comunità afroamericana ha un peso importante, sono arrivate anche la Virginia, il North Carolina, l'Alabama, il Tennessee, l'Oklahoma, l'Arkansas, il Massachusetts, il Minnesota, il Texas e il Maine. Dieci stati, in totale undici.

Nella conta provvisoria dei delegati, l'ex vicepresidente adesso guida la gara. Ha vinto dove ci si aspettava che vincesse, nel Sud dove è più forte il voto afro, e ha perso dove era scontato che perdesse (in California). Si è aggiudicato le scommesse Texas e Maine, compiendo un miracolo nel Massachusetts, lo stato di Elizabeth Warren.

Ciò che ha permesso a Biden di vincere è stata la fiducia di tre categorie di elettori: afroamericani, over 65 e voto extraurbano. Inoltre, il ritiro di Pete Buttigierg e di Amy Klobuchar ha giocato sicuramente a suo favore, poiché i due hanno preferito dare a lui il proprio supporto last minute. Una situazione del genere ha favorito Biden soprattutto in stati come il Manie, Massachusetts e Minnesota.

Il ritiro del super miliardario Michael Bloomberg, il quale ha investito 500 milioni di dollari per "comprarsi la Casa Bianca" con spot elettorali asfissianti, favorirà ulteriormente l'ex vicepresidente che ha ricevuto l'ennesimo endorsement. "Biden è l'uomo giusto per battere Donald Trump", così recita il comunicato dell'imprenditore.

Sembrerebbero esserci tutti gli elementi affinché Biden vinca le primarie e si confermi come il candidato prescelto dai democratici americani alle presidenziali di novembre 2020. Con Bloomberg, Buttigierg, Klobuchar e Warren out, sarà una lotta a due, ed essendo Sanders un indipendente "prestato" ai dem, lontano dai palazzi di partito e malvisto da buona parte dell'elettorato americano restio ad una our revolution, non è difficile prevedere l'esito dello scontro. Certamente con la progressista fuori dai giochi, il senatore del Vermont potrebbe cercare di unificare il fronte socialista. Un'impresa ardua visto l'astio che la professoressa di Harvard nutre nei suoi confronti.

Infatti, gli americani sono un popolo molto conservatore e che non coltiva fantasie rivoluzionarie, progressiste o radicali. Attenzione, però. Negli Stati Uniti c'è una concezione leggermente diversa dei tre lemmi sopra riportati. Bernie Sanders è considerato radicale ma il suo programma è tutto tranne che socialmente pericoloso: sanità estesa a tutti, diritti sociali e tasse alle multinazionali, in una democrazia, sono semplicemente elementi di giustizia sociale. Invece, per gli americani, abituati ad un tipo di politica ultra liberale e dimenticatisi dell'esperienza di un altro che, ad oggi, verrebbe considerato estremista come Sanders, cioè Franklin Delano Roosevelt, hanno tutti paura del "pazzo Bernie".

Più del 60% degli americani considera la formazione di un SSN come una priorità. Ciò farebbe intendere che tutti gli statunitensi sono radicali?

Nonostante ciò, una buona parte dei democratici si è rivolta, per ora, a Joe Biden, un moderato "né carne e né pesce", si direbbe in Italia: né troppo di destra, né troppo di sinistra. Bernie Sanders, invece, ha un'identità ben definita che agli americani non piace: apprezzava Fidel Castro, non è iscritto al partito e soprattutto disprezza l'establishment.

Sostegno degli ex candidati, avversario radicale e physique du rôle. Sono questi gli assi nelle mani dell'ex vicepresidente.

Quali sono le conseguenze politiche di questo voto? Innanzitutto, come è stato ampiamente detto, gli ex si sono schierati a favore di Biden, moderato e che piace agli americani. Ciò significa che i democratici si sono schierati a favore del moderatismo e di un candidato che piace soprattutto a Wall Street e alle industrie. Inoltre, gli afroamericani da sempre lo strato più povero e depresso della classe lavoratrice statunitense hanno scelto Biden, solo 2 su 10 hanno virato su Sanders. Ciò perché i miglioramenti economici avuti nel corso degli anni hanno fatto virare i più anziani sul primo e i giovani sul secondo.

Non solo gli afroamericani, nel Minnesota e nel Massachusetts è parso chiaro che Biden abbia avuto ampi margini di crescita in stati più omogenei e bianchi, dove all'inizio della corsa era sembrato in difficoltà (come Iowa e New Hampshire).

La prospettiva e l'indicazione generale ricavabile da questi due risultati a sorpresa è che la potenziale coalizione dell'ex vicepresidente sia più grande del previsto: una sfida a due non è più utopia. Sarà decisivo occupare, per entrambi, gli spazi lasciati da chi si ritira. Biden lo ha fatto, anche grazie all'appoggio ufficiale datogli dagli interessati, Sanders ancora no.

Il risultato in Virginia ha impressionato soprattutto a causa della rapidità della vittoria di Joe Biden. Infatti, è stato il primo stato in assoluto il cui scrutino è parso chiaro. La distanza tra l'ex vicepresidente e il senatore del Vermont è stata di trenta punti con un'affluenza più che raddoppiata rispetto al 2016.

Il Washington Post è stato chiaro a questo proposito: Sanders ha perso voti rispetto al 2016 e la Virginia ne è la dimostrazione. Ancora non ha avuto successo la strategia messa in campo dal pazzo Bernie relativa al portare al voto coloro che di solito a votare non ci vanno. Ha funzionato, invece, in California la "tattica ispanica", la quale ha risposto alla volontà di Sanders di diversificare la coalizione rispetto a quattro anni fa.

Una tattica che non ha funzionato in Virginia dove Sanders ha perso nonostante abbiano votato 600mila elettori in più rispetto al 2016. Questo, forse, è il limite della sua campagna fino ad ora: non riuscire a portare dalla sua quella parte degli elettori che non votano. Se corri contro l'establishment, questa parte del piano è fondamentale.

La gara è tutta tra Sanders e Biden, con il secondo che ha più possibilità rispetto al primo grazie a queste congiunture favorevoli. Ciò dovrebbe anche far abbassare le possibilità di una brokered convention, cioè la probabilità che si arrivi in estate senza un candidato che goda della maggioranza assoluta dei delegati.

Cosa succede ora? Biden è uscito vincitore dal Super Tuesday ed è balzato in vantaggio, Sanders non è spacciato ma ancora in corsa. Le prossime tappe sono il 10 e il 17 marzo, quando voteranno stati come il Michigan, Illinois, Ohio e soprattutto Florida, bestia nera di Sanders con i suoi 219 delegati e un elettorato anziano a lui ostile.

Resta da vedere come Joe Biden possa essere visto in ottica anti-Trump. Parte dei politologi lo ritiene una copia del Tycoon e si sa, tra la copia e l'originale si preferisce sempre la seconda. Per combattere il presidente uscente, servirebbe qualcosa di diverso, opposto al suo ultra-conservatorismo. La corsa è ancora lunga ed è presto per fare calcoli o previsioni relative all'esito delle primarie, dunque non resta che aspettare e seguire ciò che accadrà nel corso di questi giorni.